sabato 27 settembre 2008

Chi ci guadagna dal programma integrato?

I post precedenti dovrebbero aver contribuito parecchio sia alla conoscenza del fenomeno seconde case e dei suoi riflessi sui territori montani, sia a chiarire che affidare le sorti di Piazzatorre al programma integrato di intervento che l'amministrazione comunale vuole adottare è un rimedio peggior del male.

A proposito del famigerato PII, quand'è che qualcuno si decide a chiarire da dove arriva la stima di investimenti per 55 milioni di euro sbandierata sulla stampa?

A volte questi chiarimenti arrivano anni dopo l'ultimazione dei lavori, quando ormai è chiaro a tutti che a guadagnarci è stato un manipolo di persone, a perderci un'intera comunità. In alcuni casi particolarmente "felici" è la magistratura a chiarire come sono andate davvero le cose, e allora non resta che piangere sul latte versato.

Noi vorremmo chiarire subito chi saranno i beneficiari del PII qualora esso trovi attuazione:
  • al primo posto, vincitori con distacco, i soci della Alta Quota S.r.l., immobiliaristi puri;
  • al secondo posto, i costruttori (le imprese) che, vada come vada, i loro soldi se li accatteranno tutti;
  • al terzo posto gli acquirenti "seriali" (quanti ne conosciamo eh? baristi, negozianti), piazzatorresi già proprietari di numerosi appartamenti, intestati a figli, cugini, nipoti, zie e nonne (tutte prime case, of course, sapete com'è, vorremo mica pagare anche l'ICI), pronti ad affittare mesate (agostane) e settimane (di fine anno), rigorosamente "in nero", lucrando interessanti rendite che consentono loro di lavorare per hobby, conducendo attività che, in qualunque altra situazione ordinaria, sarebbero da tempo cessate causa introiti insufficienti. Costoro saranno lesti ad accaparrarsi qualche nuova unità immobiliare da aggiungere al loro già ricco carniere. Non a caso sono i più ferventi sostenitori del PII, addirittura qualcuno di loro s'è sbattuto mica poco per convincere i suoi amici di partito, tra cui un consigliere regionale, a indirizzare i due immobiliaristi in quel del paesello tra i monti (e chi ha cervello per intendere, intenda).

E i gestori degli impianti di risalita? Beh, finché ci pensa l'Alta Quota sai che le importa, mica è quello il suo business, le perdite le ha già messe in preventivo, a pagarle ci penseranno gli incauti acquirenti "non seriali" dei suoi meravigliosi appartamenti tutti Old Alpine Style (stile assiro-brembano), termoautonomi e corredati di pannelli solari. Chi verrà dopo affari suoi, si ritroverà impianti vecchi di dieci anni e un paese ormai definitivamente sputané (perdonate il francesismo).

Capita l'antifona?

Come sappiamo queste cose? Facile, frequentiamo Piazzatorre da abbastanza tempo per aver capito fin troppo bene come "gira il fumo" e chi sono i veri decisori in paese.

See you soon.

giovedì 25 settembre 2008

Seconde case, politiche urbanistiche e turismo

Risale a dieci anni or sono il bell'articolo "Seconde case, politiche urbanistiche e turismo nelle Alpi occidentali italiane", pubblicato sulla Revue de Géographie Alpine, n. 3/1998 "De la connaissance du passé à la gestion du présent".
In quell'articolo veniva descritto in modo facilmente comprensibile il bilancio costi / benefici conseguente alla presenza di seconde case nelle località alpine di Piemonte e Valle d'Aosta, ma i concetti espressi sono del tutto aderenti alla situazione della Lombardia. In sintesi:
  • le seconde case hanno ridisegnato il paesaggio fisico delle montagne;
  • due condizioni, opposte tra loro, ne caratterizzano l'uso. Da un lato il sottoutilizzo da parte di famiglie con figli non più piccoli, dall'altro la conversione in abitazioni per persone orami ritirate dalla vita attiva;
  • la scelta della seconda casa come investimento non risponde a logiche di razionalità economica (tradotto, non è affatto un investimento);
  • la presenza di abitazioni secondarie produce in linea di massima più costi che benefici sulle società e le economie locali;
  • all'afflusso di capitali ed alle opportunità di lavoro nel settore immobiliare si oppone l'incremento dei prezzi degli immobili, con conseguente marginalizzazione dei soggetti a minore capacità di spesa, giungendo a parossismi, nel caso delle stazioni turistiche più importanti, che vedono l'espulsione dei residenti dal mercato immobiliare;
  • le seconde case costruite ex novo provocano ingente consumo di suolo e compromissione delle risorse paesaggistiche e ambientali;
  • all'incremento di abitazioni in seconda casa si accompagna la costruzione o il potenziamento di urbanizzazioni e servizi, i cui costi ricadono per lo più sulle comunità locali (nel caso di Piazzatorre non è così semplicemente perché nessuna amministrazione si è minimamente preoccupata di dotare il paese di servizi!);
  • i posti di lavoro eventualmente creati sono per lo più stagionali e/o sottopagati.

Le ricerche citate nell'articolo dimostrano quello che intuitivamente sosteniamo anche noi: i benefici economici sono decisamente più legati alla presenza di alberghi che non di seconde case.

Tutto ciò ha effetti pesantissimi proprio sulla gestione e la redditività degli impianti sciistici, quegli stessi impianti che a Piazzatorre si vorrebbe tenere in piedi con iniezioni di seconde case, in relazione al tipo di utenza di queste ultime, sbilanciato sui fine settimana e condizionato dalle vacanze scolastiche.

E' evidente l'assenza di politiche pubbliche volte a governare il fenomeno delle seconde case e non semplicemente a subirlo dando per scontata la necessità di tali abitazioni, politiche che peraltro non possono essere assimilate tout court a quelle del turismo e che devono muovere dalla inevitabile considerazione per lo stock immobiliare esistente, in massima parte risalente agli anni '70 - '80 del secolo scorso, e per il quale sono necessarie misure di globale ristrutturazione non tanto, o non solo, edilizia, ma urbanistica ed in un'ottica di lungo periodo.

A dieci anni di distanza dalla pubblicazione dell'articolo possiamo con relativa certezza affermare che nulla è cambiato: le medicine che si continuano a somministrare al paziente, sono le stesse che l'hanno portato al coma.

Qui il link all'articolo.

domenica 21 settembre 2008

The Expansions of Second Homes. Cusé ca t'é dì?

Nella nostra Italia la costruzione di seconde case non è argomento che innesca interesse, curiosità, ricerche. Diciamo che è più vista come un fenomeno naturale, tipo la pioggia o il vento. Del resto, nel Paese dove avvocati fantasiosi hanno inventato il concetto di "vocazione edificatoria" dei suoli, trovando giudici di non acutissima intelligenza a dar loro ragione, perché mai l'ineluttabile destino di un pezzo di terra dovrebbe essere qualcosa di diverso dall'ospitare un edificio e dunque, magari, una seconda (o terza, o quarta secondo le possibilità) casa.

Che pretendere dunque dai nostri amministratori comunali? Che s'arrovellino nel dubbio se anabolizzare o no l'espansione delle loro cittadine? Suvvia, non scherziamo. Alcuni, i più raffinati, si lanciano al limite in azzardate analogie tra la città ed il corpo umano, sostenendo senza mettersi a ridere che una città che non cresce, che non si "sviluppa" è destinata a morire. In quale bigino enciclopedico abbiano letto che sviluppo è sinonimo di crescita e che entrambi siano sinonimi di espansione non è dato sapere, ma in fondo, chissenefrega.

All'estero certi argomenti li prendono un po' più seriamente, tanto da farci persino convegni, pensa un po' che tarlocchi.

Siccome siamo masochisti ci siamo tradotti un'interessante relazione, di cui vi proponiamo una sintesi:

L'ESPANSIONE DELLE SECONDE CASE COME PROBLEMA PER LE POLITICHE DI RICERCA E SVILUPPO
L'uso di seconde case è stato un’importante espressione dell’utilizzo di tempo libero e vacanze, nonché un elemento determinante nei cambiamenti apportati al'uso del territorio e ai modelli di organizzazione spaziale. Addirittura taluni sostengono sostiene che le trasformazioni di intere zone un tempo rurali, connesse al “consumo ricreativo” siano tra i più significativi elementi di ristrutturazione rapporto città-campagna, dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso.
Quello della casa da utilizzare per le vacanze è un fenomeno diffuso in molti Paesi europei, a tutte le latitudini, dalla Scandinavia al Mediterraneo, ed è un fenomeno che dovrebbe essere inteso come un importante indicatore del cambiamento di stili di vita.
In un’analisi condotta nel 2005 sul caso della diffusione di seconde case nella regione di Stoccolma, pur convenendo nel definire la seconda casa come una "privata dimora, temporaneamente utilizzata per il tempo libero da persone che hanno la loro residenza permanente in altro luogo". Si è arrivati a sostenere che esse sono diventate una parte dell’attuale complessità dei modelli di mobilità, e che hanno contribuito alla formazione di una classe di cittadini part-time, residenti in città così come nelle campagne.
Pur rappresentando un importante fenomeno socio-culturale, economico, ambientale e, ipso facto, di uso del territorio e di politica di sviluppo territoriale, nonché un problema di pianificazione, il fenomeno delle seconde case è stato sottovalutato nella ricerca geografica, sia teorica che applicata.
In realtà, è la corretta nozione di seconda casa a “soffrire” come categoria concettuale, come evidenziato quando si cerca di cogliere la complessità delle spinte che muovono la richiesta di questo tipo di abitazione.
Una proposta nata sulla scorta degli studi svolti in Norvegia per comprendere i fattori motivanti l’acquisto e l’utilizzo di seconde case in relazione alle prospettive di investimento e degli scenari di pianificazione, ha visto nascere l’espressione "casa ricreativa", come derivazione diretta dai concetti di attività ricreative e tempo libero assunti quali le più importanti motivazioni ed attività connesse a queste case: un modello alternativo a quello del turismo itinerante, e caratterizzato, al contrario di quello, dalla ripetitività.
Le seconde case sembrano appartenere ad un modello di società in cui è cessato, o comunque assai poco significativo il ruolo economico dei territori extraurbani, nei quali l'uso dei terreni agricoli ha perso d’interesse in favore di attività più redditizie, quali sviluppi urbani, strutture ricreative, infrastrutture.
Una cosa è certa: l’espansione urbana per mezzo di seconde case costituisce un importante agente di cambiamento in molte zone rurali, tuttavia, l'impatto effettivo che tale tipologia di sviluppo può causare sui servizi sociali, le infrastrutture, l'utilizzo del territorio, le attività economiche, la mobilità, non è stato ancora discusso sistematicamente.
Per comprendere quanto ciò sia deleterio basta uno sguardo a quanto è avvenuto nel sud della Spagna, dove l’espansione di seconde case è stata così massiccia da portare all'esaurimento del suolo urbano, ed al degrado del paesaggio e dell’ambiente, al deficit di infrastrutture urbane e di servizi sociale, nonché ad un generale calo di qualità della vita e persino della sicurezza delle città.
In Portogallo il fenomeno è ancor più evidente, l'espansione delle seconde case ha raggiunto livelli abnormi: negli anni ‘90 il numero di seconde case è aumentato del 40%, cosicché nel 2001 corrispondeva al 20% delle abitazioni complessive. Il risultato è stato la crisi della sostenibilità dell’organizzazione spaziale e delle politiche / attività di gestione, trasformando gli utenti di seconde case in gruppi organizzati d’interesse, esercitanti un’influenza estremamente rilevante sulle comunità locali e sui loro amministratori.
Cinque anni più tardi (2006) il governo portoghese nel riconoscere l'importanza strategica del fenomeno “seconda casa” come un fattore di sviluppo regionale o locale, nel programma nazionale per la pianificazione territoriale (2006) raccomandava di controllarne l’espansione, a causa dei suoi effetti sull’uso del suolo e sul paesaggio.


Il testo originale lo trovate qui. Buona lettura.

venerdì 19 settembre 2008

Turismo invernale? Parliamone

A due giorni dalla fine dell'estate è un po' strano parlare di turismo invernale, però può essere il momento buono per discuterne prendendo spunto da un'interessante ricerca, pubblicata proprio nel sito internet del Comune di Piazzatorre.

Alcuni degli argomenti riferiti a Piazzatorre e là riportati, noi li abbiamo trattati più in generale, con riferimento alle intere Alpi qui, nella traduzione di un estratto da un documento di CIPRA.

Leggendo la ricerca è subito evidente come le considerazioni sul rapporto tra sport invernali, sci in particolare, ed economia turistica della montagna, nel bene e nel male, siano le medesime proposte da CIPRA, segno che vi sono elementi pressoché assodati e riconoscibili a descrivere lo scenario di medio/lungo periodo per quanto riguarda i trend del turismo invernale.

Le conclusioni della ricerca ve le sintetizziamo in poche righe:
  • gli sport invernali, incluso lo sci, sono una componente essenziale per il richiamo dei turisti, ma attirano prevalentemente persone giovani, alle quali tuttavia non può bastare la possibilità di praticare sport come motivazione per recarsi in una località e restarci più di due-tre notti;
  • per contro l'ambiente naturale gradevole, anch'esso insufficiente come unico richiamo, è una componente fondamentale dell'attrattività di un luogo, soprattutto per chi, e sono molti, non è interessato alle pratiche sportive;
  • a vero e proprio "collante" tra bellezze naturali e offerta sportiva, è ancora una volta (che strano eh?) l'offerta generale di servizi alla persona a costituire l'elemento vincente di una località.

Non ci soffermiamo sulle considerazioni riguardanti l'unificazione dei comprensori sciistici di Piazzatorre, su questo aspetto le ipotesi della ricercatrice possono trovare concordi o discordi (noi concordiamo), ma non ci sembrano l'elemento dirimente.

La ricerca propone anche un cenno, molto asettico, al ruolo esercitato dalle seconde case esistenti, che costituiscono per molti dei loro proprietari l'unico elemento di richiamo. Al di là di ogni possibile fraintendimento, i motivi sono ben esplicitati e traducibili in una frase come questa: "Ormai ce l'ho (la seconda casa) e mi tocca andarci".

In sostanza, per molti recarsi a Piazzatorre è diventato un obbligo più che un piacere. Non ci sembra che ciò sia esattamente un elemento di forza per una località.

L'acquisto di una seconda casa al momento del rogito sembra un fantastico investimento, ma quando riguarda un edificio costruito dove di seconde case ce ne sono troppe, si rivela una palla al piede. E liberarsene rischia di essere più difficile del previsto. To be continued...

domenica 14 settembre 2008

Programmi Integrati di Intervento

Avevamo anticipato che avremmo dedicato un post a spiegare cosa è un Programma Integrato di Intervento e quali sono i suoi scopi.
Per far questo ci siamo rivolti ad un soggetto particolarmente qualificato, un funzionario pubblico di alto rango, che da molti anni opera nell'urbanistica.
Il nostro interlocutore lavora presso la Regione. Quando gli abbiamo spiegato le ragioni della nostra intervista ha accettato di collaborare, ma solo dopo aver avuto assicurazione del fatto che non avremmo pubblicato il suo nome.
Ciò che segue è l'esatta trascrizione dell'intervista, abilmente stenografata da una mia collaboratrice, Ivana, che ringrazio a nome di tutta la squadra di Salviamopiazzatorre.
Le domande le ho poste io, Paolo.

D. Grazie per avere accettato l'incontro. Ci dice cosa sono i programmi integrati di intervento (PII) e a cosa servono?

R. Cercherò di essere il più chiaro possibile, voi non vi rivolgete ad un pubblico specializzato, giusto?

P. Esatto.

R. Essenzialmente sono strumenti urbanistici, un po' particolari, ma comunque volti a decidere cosa fare in una determinata porzione del territorio di un comune: quali funzioni insediare, in che tipo di strutture, quali opere (strade, piazze, impianti) sono necessarie, quali servizi devono accompagnare la realizzazione delle opere.

D. Si usano spesso?

R. Molto, sì, molto spesso. Sono diventati il mezzo principale per pianificare il territorio, piani regolatori a parte.

D. Piani di Governo del Territorio?

R. Siete preparati vedo. I Piani di Governo del Territorio sono gli strumenti di pianificazione urbanistica generale più recenti. Pochi comuni li hanno già approvati, tutti gli altri dovranno farlo entro l'anno prossimo, ma per ora si devono avvalere dei vecchi prg, ed i programmi integrati vengono utilizzati per apportare varianti ai prg.

D. Quindi i PII vengono utilizzati per apportare varianti urbanistiche.

R. Certo, nella maggior pare dei casi i PII sono varianti ai piani generali, e poi i comuni li utilizzano per "portare a casa" più denaro e più opere.

D. Legalmente?

R. Sì. I PII sono strumenti che prevedono la possibilità, per il comune, di pretendere quelli che sono stati definiti "standard qualitativi" ovvero maggiori oneri a carico degli operatori, in termini di opere o aree cedute, o denaro che viene versato nelle casse del comune.

D. Chi approva un PII?

R. Il comune. Solo in pochi casi, ovvero sia per quei PII che rientrino nella definizione di strumento di interesse regionale, per esempio se c'è di mezzo un centro commerciale o infrastrutture di interesse regionale o statale, allora interviene la Regione attraverso una procedura detta accordo di programma. Altrimenti è il comune a promuovere il programma, ad adottarlo ed infine ad approvarlo.

D. Senza che nessun altro interferisca?

R. Per i PII in variante è obbligatorio chiedere il parere della provincia.

D. Quindi un comune non può approvare un PII se la provincia dice di no.

R. In teoria è così..

D. Ma?

R. Ma i casi in cui una provincia è davvero in grado di incidere su un PII si contano sulle dita di una mano. In realtà le province devono fare sì i piani territoriali di coordinamento, ma la verità è che sono piani quasi totalmente privi di efficacia.

D. Ah! E perché?

R. (esita un po', ndr) La legge regionale non lascia molto spazio alle province, la politica della Regione, in tema di territorio, è di lasciar fare ai comuni quasi tutto quello che vogliono.

D. Per quale ragione?

R. Il peso politico dei comuni è nettamente superiore a quello delle province.

D. E il territorio ne fa le spese.

R. Diciamo che, tecnicamente, la scelta della Regione non è giustificata appieno.

D. Torniamo ai PII. Lei ritiene vengano utilizzati bene?

R. A volte sì, a volte no. Spesso lo spirito originario della legge sui PII, che in Lombardia esistono dal 1999, viene tradito. I PII erano stati pensati per superare le rigidità dei prg, ma anche per innalzare la qualità delle trasformazioni del territorio operate in variante ai prg.

D. E invece?

R. Invece, troppo spesso si sono tramutati in banali piani di lottizzazione, oltretutto utilizzati per "fare le varianti" laddove una variante ordinaria non si sarebbe potuta fare attraverso altri strumenti urbanistici.

D. Chi controlla se un PII risponde alla legge?

R. Nessuno.

D. Prego?

R. Nessuno, i controlli di legittimità sono stati abrogati da anni, in tutta Italia, la norma era nazionale, una delle leggi Bassanini.

D. Quindi uno strumento così delicato, se non è d'interesse regionale e quindi se non ci siete di mezzo voi, il comune se lo approva senza che nessuno dica nulla neppure in caso di violazioni di legge?

R. In teoria è possibile, le province non possono valutare la legittimità degli atti adottati dai comuni. Certo per i sindaci la responsabilità sarebbe gravissima, anche penale.

D. Mi scusi, ma non crede che sarebbe necessario controllare di più l'utilizzo di strumenti come questi?

R. Vede, oggi l'autonomia dei comuni è fortissima, la Costituzione è cambiata, di fatto sono loro i primi artefici del loro destino. Lo Stato non ha pressoché più competenze in materia urbanistica, le regioni dettano la disciplina e quindi è la politica di ciascuna regione a decidere sino a che punto si vuole essere incisivi rispetto all'autonomia dei comuni. La Lombardia ha scelto la strada di una sussidiarietà molto spinta, può piacere o no ma è così.

D. Detto molto brutalmente, lo sapete che ci sono comuni che con i PII ci giocano in modo un po' disinvolto, vero?

R. E' una delle voci che girano.

D. Lasciamo stare. Prima di chiederle l'intervista le ho accennato al caso concreto che ci sta a cuore, senza fornirle dati più precisi, glieli sottopongo ora (gli passo una copia del documento di sintesi del PII ed altri documenti in mio possesso). Li legga al volo e mi dica il suo pensiero. (sfoglia rapidamente la documentazione, per un paio di minuti, soffermandosi sui dati principali)

R. Eh, un bel programmino!

P. Si, eh?

D. Cosa la colpisce?

R. Se quel che si dice qui risponde al vero, con un solo PII realizzano abitazioni sufficienti a raddoppiare la popolazione, certo, è tutto relativo, in un paese di cinquanta anime basta costruire quattro case e la popolazione rischia di aumentare del trenta per cento, qui poi si dice che ci sono seconde case per oltre settemila persone, una bella botta. Certo non mi sembra un programma ispirato alla lungimiranza, però, che vuole che li dica, in sé l'operazione non sembra illecita.

D. Inopportuna?

R. Non saprei.

D. Urbanisticamente inopportuna?

R. Questo è possibile, forse probabile. Urbanisticamente inutile direi.

D. Cioè?

R. Inutile, inadeguata rispetto agli obiettivi del comune. Operazioni di questo genere non sono una novità. Alla fine, ovvero trascorsi tot anni dall'attuazione tutti scoprono che chi ci guadagna davvero sono gli operatori, ai comuni restano le briciole, a volte neppure quelle perché gli tocca mettere i soldi per rimediare ai danni o alle manchevolezze degli operatori privati.

D. Ma i PII non sono strumenti negoziali? Non prevedono una convenzione?

R. Certo, ovvio. Ma lei crede che un comune di questa dimensione (Piazzatorre, ndr) abbia la forza e la capacità di negoziare con gente che negozia tutti i santi giorni da anni, con decine di amministrazioni diverse, anche ben più strutturate e organizzate di questa? E poi chi pensa che scriva le convezioni?

D. I privati?

R. E certo! I Comuni se va bene le modificano un po'. Se no si limitano a firmarle.

D. Un'altra domanda. La valutazione ambientale, può avere un ruolo per limitare i danni?

R. Se ben fatta sì, tuttavia tenga conto che nella maggior parte dei casi la si affronta semplicemente come procedura, non come disciplina scientifica. Una volta redatti documenti come questo (il documento di sintesi, ndr) ci si toglie il pensiero affermando che non ci sono problemi per l'ambiente, ma il più delle volte è vero il contrario.

D. Insomma, sperare in una pianificazione urbanistica più accorta è utopico.

R. (allarga le braccia)

P. Grazie dottore, arrivederci.

R. Arrivederci.

MORALE: i disastri sono dietro l'angolo, ma stavolta, i loro padri, anche se sono più d'uno (la politica ha leggi diverse da quelle della biologia), non sono ignoti.

sabato 13 settembre 2008

Il Sindaco di Piazzatorre si è "replicato"?

Al CERN di Ginevra cercano, tra le altre cose che fanno, di ricreare le condizioni del Big Bang, il momento in cui nacque l'Universo. Un esperimento importante, non c'è che dire.
Noi però conosciamo una persona che è riuscita in un campo dove la scienza ufficiale è ancora agli esordi.
Federica Arioli, Sindaco in carica di Piazzatorre, si è "replicata", ed oggi chi siede sullo scranno più alto del Comune non è l'originale ma la copia.
Un replicante perfetto, alla Blade Runner, ma con una non piccola differenza rispetto all'originale: sullo sviluppo del territorio la pensa molto diversamente, all'opposto oseremmo dire.
L'esperimento di replicazione è riuscito ma con qualche bug.
Fantascienza, direte, no no, realtà. Ecco le prove.
Questa è una vecchia intervista alla vera Federica Arioli, risalente a tre, forse quattro anni fa, quando insomma da poco era stata eletta a Sindaco di Piazzatorre.
Leggete, leggete attentamente, e scoprirete che, allora, il Sindaco esprimeva concetti come questi:

"L'idea di turismo che questa Amministrazione ha è molto ampia: non ci si limita al turismo invernale (legato esclusivamente allo sci) ma si pensa ad un turismo che sia il più possibile destagionalizzato, a 360°. E' evidente quindi che anche il turismo ambientale andrà a far parte delle proposte da sostenere e per le quali attivarsi per ottenere finanziamenti. Abbiamo sul territorio una serie di baite (alcune già ristrutturate in maniera eccellente dagli operai del consorzio forestale) che secondo noi potrebbero rientrare nel pacchetto di offerta turistica, vendibile sia alla gente della nostra valle, sia ai turisti che amano trascorrere le vacanze a contatto con la natura, lontano dagli agi di un albergo".

"[puntiamo, ndr] allo sviluppo del paese che non contempli più l'unica formula delle seconde case (di cui il paese non potrebbe più farsi carico poichè esaurita l'ondata "felice" della vendita, per il resto non si vede alcun ritorno di qualsivoglia natura o per il paese stesso), ma creando dei servizi che possano portare lavoro in paese e far sì che i giovani decidano di vivere a Piazzatorre".

Sono gli indirizzi che ci avevano entusiasmato e che avevano ridato fiducia a molti, residenti e non, che sino ad allora potevano solo sperare per Piazzatorre ad un futuro migliore del presente.
Da allora molto dev'essere cambiato, perché il Sindaco, oggi, promuove ben altro, come sappiamo.
A meno che, come sospettiamo, non sia cambiato il Sindaco, che a Federica Arioli sia succeduto, nell'incoscienza dei più, il suo avanzatissimo replicante.
Ma allora, diventa obbligatorio chiedersi: dov'è finita Federica Arioli?

martedì 9 settembre 2008

Seconde case: fisiologia e patologia

Prendo spunto dal post precedente e dai commenti che ne sono seguiti, per spiegare cosa intendiamo per quota fisiologica di seconde case nelle località turistiche.
Con questa espressione vogliamo esprimere un concetto alla base del quale sta l'affermazione che una località turistica vive "anche" di seconde case, fino a che queste non diventano così numerose da soffocare il territorio con la loro presenza, rendendolo meno piacevole, meno attrattivo.
Consideriamo "fisiologica" una percentuale di seconde case, o meglio di posti letto in seconda casa, pari a quella dei posti letto utilizzati dai residenti effettivi, non in base a dati o sperimentazioni ma sulla base di stime e valutazioni, sia pure empiriche, conseguenti ad esperienze conosciute, o vissute, che riguardano la fornitura di servizi alla comunità e la capacità di un territorio di assorbire senza eccessivi impatti negativi il consumo di una sua parte.
A nostro avviso paesi di montagna occupati permanentemente da poche centinaia di abitanti sono in grado di organizzare una adeguata fornitura di servizi minimi essenziali solo se la popolazione "non residente" (turisti + lavoratori non residenti) non supera ordinariamente quella "residente" e, nei momenti di massimo afflusso contemporaneo, la supera entro limiti contenuti.
Per fare un esempio pratico: se per "x" abitanti residenti un paese arriva con gli occupanti le seconde case ad avere, complessivamente, due volte "x", ci si può organizzare egregiamente, se in quel paese ci sono anche alberghi o altre strutture ricettive (B&B, campeggi, affittacamere professionali), si può anche pensare di arrivare, sempre complessivamente, a tre volte "x", magari con qualche patema in più, ma ce la si può fare, e un territorio può anche non apparire particolarmente assediato da edifici collocati ovunque vi sia un minimo di stabilità dei terreni.
Quando questi valori vengono superati, iniziano i problemi e se da "x" si passa a cinque, sei, dieci o venti (!) volte "x", i problemi diventano sempre più ingestibili.
Nelle più blasonate località alpine italiane, si registra una presenza di seconde case che, da sole, offrono posti letto pari a tre - quattro - cinque volte i residenti, e tutte le analisi convergono nel ritenere che ciò ha contribuito a far diminuire drammaticamente l'attrattività di quei luoghi. A Piazzatorre ci sono seconde case per un numero di posti letto che è pari a circa quindici volte quello dei residenti effettivi, un record (negativo) con pochi rivali nelle Alpi, se non è "patologia" questa.
Vogliamo raccontarci che c'è bisogno di altre seconde case? Vogliamo sostenere, senza metterci a ridere, che una simile prospettiva garantirà la capacità di adeguare l'offerta di servizi alla domanda nei periodi "di punta"? Io ho finito da un pezzo di credere alle favole, non so voi.

domenica 7 settembre 2008

Seconde case: sogno o incubo?

Quello delle seconde case è un tema che riguarda l'intero arco alpino o quasi, forse ancora la Slovenia è risparmiata dall'assalto degli interessi immobiliari - finanziari ben noti nel resto delle Alpi, dalla Francia all'Austria.
Un tema che sempre più spesso si è tramutato in problema, mano a mano che nelle comunità locali (ahi noi, non sembra essere il caso di Piazzatorre), aumentava la consapevolezza che il territorio, risorsa prima del luogo, rischiava di essere irrimediabilmente depauperato.
Sia chiaro, la nostra posizione non è pregiudizialmente o ideologicamente avversa alla realizzazione di un'edilizia residenziale turistica nelle località montane (ma lo stesso vale per quelle marine o lacustri), tuttavia, siamo convinti che se una quota "fisiologica" di seconde case può contribuire a sostenere l'economia di un luogo, quando quella quota supera, e di gran lunga, il livello fisiologico, che noi approssimiamo ad un numero di posti letto in seconda casa pari a quello dei residenti effettivi in una data località, allora il fenomeno diviene "patologico" ovvero sia negativo.
Un recente dossier della CIPRA (CipraInfo, n. 87, Giugno 2008) affronta l'argomento con dovizia di dati e completezza di esposizione.
Trovate l'intera pubblicazione, in formato pdf ed in lingua italiana a questo link.
Qui riportiamo un estratto dall'editoriale della rivista, invitando tutti, soprattutto gli amministratori pubblici, a leggerla integralmente. Siamo certi che le informazioni in essa pubblicate risulteranno interessanti per tutti.

[...] le località turistiche sentono sempre più i problemi che la costruzione di seconde case comporta. I posti letto vengono utilizzati per poche settimane all'anno e spesso tutti nello stesso periodo, come a Natale. Ciò significa che tutte le infrastrutture, quali strade, energia, ecc., devono essere allestite in modo tale che, oltre ai locali e agli ospiti degli alberghi, anche tutti i proprietari di seconde case abbiano sempre strade e parcheggi sufficienti, anche se per 50 settimane all’anno quasi non si fanno vedere. Data la brevità della loro permanenza, danno uno scarsissimo contributo alla valorizzazione dell’economia regionale. Il Sindaco di un comune turistico francese ha fatto il punto della situazione, affermando che «molti dei nostri comuni turistici oggi non vivono più di turismo, ma di edilizia». È legittimo dubitare che il paesaggio e l'economia regionale siano in grado di sopportare tutto ciò [...]".
Andreas Goetz, Direttore CIPRA International

giovedì 4 settembre 2008

La politica ambientale di Piazzatorre: un caso di schizofrenia?

Forse, non tutti sanno che il Comune di Piazzatorre si è avventurato nel percorso che dovrebbe fargli conseguire la certificazione ambientale ISO 14001.
Bene, ne siamo lieti, pur nello scetticismo di chi sa bene che queste certificazioni trovano la loro ragion d'essere soprattutto nel fatto che "si pagano", visto che le società che le rilasciano non lavorano per la gloria ma per la vile moneta.
Leggiamo allora qualche passo del documento in cui il Comune esplicita la propria politica ambientale e nel quale si afferma che l'Amministrazione comunale si impegna a [...] ispirare le proprie scelte politiche e amministrative a criteri di tutela delle risorse naturali ed energetiche [...], avendo tra i propri obiettivi la promozione di un "turismo sostenibile e responsabile", la tutela del paesaggio, la promozione del territorio nella massima attenzione agli aspetti ambientali, la promozione del risparmio idrico perché si possa garantire il fabbisogno anche durante i periodi di maggiore affluenza turistica.
Bene, bravi, chi non condividerebbe a priori una simile dichiarazione d'intenti? C'è tutto, o comunque molto, di quanto serve per rinvigorire l'appeal del luogo.
Ma allora, Sindaco Arioli, ce lo spiega cosa c'entra il PII delle ex Colonie con la vostra politica ambientale? Cosa pensate di raccontare alla società che dovrebbe piazzarvi sul bavero della giacca la medaglietta dell'ISO 14001?

mercoledì 3 settembre 2008

Piazzatorre, cosa va e cosa non va

Senza riempirci la bocca di concetti e sigle cari ad urbanisti e sociologi, proviamo ad esprimere in poche righe cosa, secondo noi, c'è di buono e di cattivo a Piazzatorre.
Partiamo dagli aspetti "buoni":
  • ambiente naturale ancora in gran parte conservato
  • inserimento in un Parco Regionale
  • microclima non soggetto ad oscillazioni "estreme" durante le singole stagioni
  • bassi livelli di inquinamento dell'aria (non in agosto, però)
  • tranquillità (idem come sopra: non in agosto).

Ora veniamo agli aspetti "cattivi":

  • bassa qualità dell'edificato e degli arredi urbani
  • poca propensione ad ascoltare la voce dei turisti
  • amministrazione non sempre all'altezza dei temi da affrontare
  • presenza eccessiva di seconde case
  • incapacità di programmazione a lungo termine
  • gestione degli affitti non professionale.

Sarà un caso, ma a pesare positivamente sulla bilancia sono i fattori intrinseci al territorio, mentre a deprimere il bilancio complessivo pesano soprattutto le azioni di chi, nel corso degli ultimi decenni, è stato chiamato ad amministrare il territorio medesimo.

Ci si dovrebbe augurare che gli sforzi di un'amministrazione che volesse ridare lustro al paese fossero indirizzati a cercare nuovi modelli di sviluppo, non mutuati da modelli urbani di pianura, preconfezionati, bensì a seguire strade nuove ed originali, facendo da precursori per altri territori di montagna, con la responsabilità di lasciare un futuro anche a chi verrà dopo di noi, sulle stesse montagne che da sempre ospitano la comunità di Piazzatorre.

Ma per far ciò occorre la consapevolezza che:

  • la montagna è un luogo "speciale"
  • non serve incrementare la quantità, bensì la qualità
  • si deve puntare ad un corretto rapporto, quantitativo e comunicativo, residenti/turisti
  • serve un forte investimento in professionalità
  • altrettanto, serve un forte investimento in "cultura del territorio".

Un Programma Integrato di Intervento, che è, lo anticipiamo (ci sarà prossimamente un post specifico), uno strumento urbanistico pensato dal legislatore regionale per realtà e scopi che con paesi come Piazzatorre non hanno nulla a che spartire, può aiutare a migliorare quel bilancio "cose buone vs cose cattive" che abbiamo sintetizzato più sopra? Può consentire di migliorare il rapporto tra residenti e turisti, tra operatori "dell'accoglienza" e turisti? Può far conseguire una maggiore professionalità a chi è chiamato a costruire e gestire l'attrattività di un luogo come Piazzatorre?

Ne dubitiamo, non in assoluto ma ne dubitiamo, ma per meglio rispondere a queste domande, sarà necessario quel post sui Programmi Integrati di Intervento, che stiamo ancora preparando.

A presto.

Uno sguardo ai vicini 4

Non perchè siamo follemente innamorati di quel che succede in Trentino, ma perchè abbiamo la sensazione che sia l'unico territorio montano dove le critiche a determinati modelli di sviluppo turistico non si placano, proponiamo un articolo del direttore de "L'Adige" di Trento, dott. Pierangelo Giovanetti, che ringraziamo per averne espressamente autorizzato la pubblicazione sul nostro blog.
L'articolo è recente e il tema di fondo, tanto per gradire, è sempre quello: coltivare a seconde case le montagne è come concimare un prato usando il diserbante.
Per la sola provincia di Trento si parla di tredicimila e forse più seconde case negli ultimi 15 anni, e si intendono edifici, non appartamenti, che dunque portano la cifra, ottimisticamente, ad almeno il doppio. Un impatto enorme sul territorio. E qualcuno comincia a rendersi conto che non c’è un Trentino di ricambio. Quand’è che in Lombardia ci si sveglierà dalla sbronza edificatoria?

Turismo senz'anima per forza in crisi

di PIERANGELO GIOVANETTI l’Adige 28 luglio 2008

Con oggi, ultima domenica di luglio, siamo entrati nel cuore delle vacanze estive, quell'agosto che un tempo segnava il tutto esaurito e il pienone di villeggianti, italiani e stranieri. Un tempo, però. Andando in giro per il Trentino, ora si vedono alberghi mezzi vuoti, case sfitte, scritte «Affittasi per il mese di agosto», quando ad agosto mancano quattro giorni. In val di Fassa, per riempire i lussuosi hotel ristrutturati e ampliati a suon di milioni di contributi provinciali (134 solo negli ultimi sei anni), si svendono i posti letto a 20 euro a notte. Addirittura c'è chi ha proposto la notte in albergo, pur senza colazione, ad 11 euro. Prezzi in saldo, pur di fare numero. Di riempire camere. Di pagarsi le spese di grosse strutture pensate per un turismo di massa, delle Rimini d'alta quota, progettate sui flussi dei dieci giorni ferragostani e della settimana di Capodanno. È bastato un anno con un po' di pioggia più del solito, con la crisi economica che si fa sentire nelle famiglie, e subito la grandiosa macchina del turismo trentino s'è inceppata. Ha mostrato le crepe di un modello vecchio, anni '70-'80, plasmato sul mito del monoturismo dello sci da discesa, capace da solo di trainare la montagna, che punta tutto e solo sui grandi numeri, perché da solo sa riempire alberghi e residence, case e doppie case. No, questo modello non funziona più. E la montagna in liquidazione, a 20 euro la notte, ne è la più plateale e visibile conseguenza. La crisi del turismo trentino ha radici profonde e lontane. La prima mazzata l'ha data a cominciare dagli anni Sessanta e Settanta la svendita del territorio con le seconde e le terze case, chiuse quasi tutto l'anno, sempre vuote. Non solo perché hanno cementato i boschi, i prati e i monti di questa terra, che era il motivo per cui la montagna piaceva e costituiva un'attrattiva. Ma soprattutto perché hanno sancito la fine dell'identità montagna = territorio = cultura, e sono diventate casette a schiera uguali a Campiglio come a Milano 2 o sulla riviera romagnola, che per giunta costa meno. Quella cementificazione dei nostri paesi, con le tapparelle giù undici mesi e mezzo all'anno, è stato il primo colpo mortale dell'offerta vacanziera trentina, ingenerando l'illusione che il turismo di montagna si vendesse un tot al chilo, parametrato sugli afflussi della settimana di Ferragosto. Da tale errore di prospettiva, sono scaturiti poi tutti gli altri. A cominciare dall'idea che il modello di vacanza sulle Dolomiti potesse essere lo stesso adottato a Ibiza o in riviera: massificazione, uniformazione, generalizzazione, a prescindere dall'identità culturale e territoriale di ciò che si offriva. Mentre in Alto Adige, i masi e le case dei vecchi paesi venivano aperti al turista desideroso di assaporare la montagna nella sua originarietà e verità, a fianco delle stalle con le vacche e le galline, per bere il latte appena munto e le uova fresche, assaggiando lo speck prodotto in casa e lo strudel appena sfornato, da noi si procedeva alla vendita degli alberghi ai grossi gruppi, ai circuiti internazionali, per riempirli con le offerte last minute, di chi all'ultimo sceglie cosa gli conviene di più, se Formentera o le dolomiti. Così oggi in Alto Adige abbiamo 1300 agriturismi a 1.500-2.000 metri di altitudine, masi che vivono tutto l'anno, dove si mangia il formaggio di malga e si sfalcia il fieno con il contadino, con i villeggianti dalla primavera all'autunno, e poi d'inverno. Da noi, dove gli agriturismi sono 300 scarsi, e quasi tutti nati negli ultimi anni, la parola montagna è ancora intesa come sinonimo di grosso impianto di risalita per arrivare in quota un paio d'ore e tornare poi all'hotel. Non c'è l'idea che turismo in montagna è cultura della montagna, cultura dell'ambiente, cultura dell'ospitalità, cultura del territorio. Perché è per quello che si viene in Trentino, e non si va a Disneyland. Purtroppo la crisi mortale del turismo di montagna non sono il maltempo o i costi economici, ma la perdita d'identità di ciò che la montagna è e si vuole offrire al visitatore. Una crisi che è destinata ad aggravarsi ancora, visto l'accanimento con cui l'ente pubblico - la Provincia Autonoma di Trento - e molti operatori turistici continuano ad intestardirsi nel gettare risorse sugli impianti di risalita, quasi che lo sci - in un'epoca in cui di neve ce n'è e ce ne sarà sempre di meno - possa fare da traino per tutto il testo. Quasi che quel turismo invernale monoculturale riesca a far vendere la montagna anche d'estate. E così mentre la Provincia di Trento si appresta a versare a fondo perduto altre decine e decine di milioni di euro per gli impianti di Pinzolo-Campiglio, Passo Rolle-San Martino, Folgaria Laste Basse, Tremalzo, Bondone, eccetera eccetera, la montagna d'estate si svuota, gli alberghi svendono un posto letto a 20 euro, quando non svendono lo stesso albergo.
Sono 24 gli alberghi in vendita sul mercato solo in val di Fassa. Ma anche sul Garda le cose non vanno diversamente. La legge Gilmozzi, che ha fermato le seconde case, è arrivata quando ormai le vacche erano tutte scappate dalla stalla, con trent'anni di ritardo. Arriveremo con trent'anni di ritardo anche a dire che quelle decine di milioni dati alle società impiantistiche sono stati soldi buttati perché la neve ci sarà solo sopra i 1.800 metri? E piangeremo sui turisti scappati perché la montagna che sappiamo offrire è solo strade, case, auto, rumore, illuminazione a tutto spiano che impedisce perfino di vedere di notte le stelle? E se neanche in montagna possiamo vedere le stelle, o camminare senza avere moto che ti traversano la strada, cosa si viene a fare? Chissà che l'estate 2008, con il maltempo e la crisi economica, non risulti alla fin fine benefica a farci a riflettere che un certo modello di turismo è vecchio e non è più sostenibile. E con la montagna, quella vera, non ha ormai più nulla a che fare.
p.giovanetti@ladige.it