martedì 26 ottobre 2010

Mamma li Crociati!!!

Allora, giusto per mostrare (ancora una volta) che qui non si fanno Crociate contro nessuno, si cerca, nel nostro piccolo, di fare informazione e discussione (lo so, cose fastidiose, questa storia della libertà di opinione è un virus che non vuol saperne di scomparire), adesso vi sciorino una bella lista di frasi, dichiarazioni, dati, che descrivono lo stato dell'arte riguardo gli sport alpini invernali.

Prima però, la dovuta e necessaria polemica: certi commenti, pur educati, sono un po' la dimostrazione di quanto bene la nostra cialtrona classe politica di destra, sinistra, sopra e sotto, sia specchio dell'elettorato. Basta portare un dato, un numero, una statistica, che minano le certezze del luogocomunismo in voga, e subito si diventa talebani, crociati, disfattisti, seminatori di pessimismo. In compenso le chiacchere fatte con, quante persone, trenta? cinquanta? assurgono a sondaggio di Mannheimer o Pagnoncelli, secondo i gusti. Come diceva Moretti, "andiamo avanti così, facciamoci del male".

da "Impresa Innovazione - Periodico di informazione su progetti e iniziative di Trentino Sviluppo per il territorio", n. 7, aprile 2010

Piste da sci ed impianti di risalita sono il volano di un business che vale complessivamente oltre un miliardo di euro. Eppure i conti delle società funiviarie spesso mostrano segnali di difficoltà. L’indagine condotta dal Dipartimento turismo della Provincia di Trento sui bilanci 2004-2007 delle 41 società di capitali attive sul territorio provinciale parla chiaro: 9 società su 41 (il 22%) posseggono una redditività positiva a livello globale, mentre quelle con andamenti altalenanti rappresentano la maggioranza.
L’analisi evidenzia la ridotta redditività diretta delle società funiviarie (il rendimento del capitale investito non supera mediamente il 3-4%), che abbinata ai bassi livelli di autofinanziamento non consente di sostenere con facilità i rilevanti investimenti di sostituzione e aggiornamento degli impianti o di ampliamento dei caroselli sciistici. Rimane peraltro vero che la redditività va valutata nel suo insieme, comprensivo di attività redditizie quali noleggi, ristorazione e ospitalità, talvolta gestita direttamente dalle stesse società impiantistiche,
nonché attività immobiliari che a loro volta garantiscono nel medio-lungo periodo un’integrazione significativa della redditività aziendale diretta (traduco: in assenza di immobili a reddito, ovvero sia locati, di proprietà delle società di risalita, gli impianti possono essere tenuti assieme solo costruendo palazze a ripetizione. Il che non è gran bello).

Andiamo avanti.

"Il settore dello sci da discesa, come ben evidenziato dallo studio dell’Università Bocconi, è in crisi. Le vendite delle attrezzature sono drasticamente diminuite e l’aumento della pratica dello snowboard sopperisce solo in minima parte al calo iniziato nei primi anni ’90. Da sport di massa lo sci sta inesorabilmente diventando una disciplina sempre più elitaria non più alla portata della maggior parte della popolazione. Conseguentemente il mercato si sta restringendo, inducendo una concorrenza sempre più aspra tra le varie stazioni sciistiche". Fonte: Questo Trentino, 17 maggio 2008

"Certamente non si può dire che nella scorsa stagione invernale sia mancata la neve, tuttavia i dati pubblicati da Skipass Panorama Turismo, evidenziano un calo di presenze nella maggior parte delle località sciistiche del nostro Paese. Considerando la crisi economica globale, la situazione non è drammatica : un calo medio del 5% delle presenze e un rispettivo decremento del 3,1% dei fatturati devono essere considerati il punto di partenza per un'approfondita riflessione sull'attuale proposta turistica". Fonte: Neveitalia, 15 ottobre 2010

"Una recente ricerca condotta dal CISET sul turismo invernale nelle Alpi italiane ha rilevato come nella stagione invernale la pratica sciistica non rappresenti più oggi la motivazione principale per recarsi in montagna. Se il 51,8% dei turisti raggiunge le località alpine italiane per sciare, il 48,1% anche in inverno lo fa per praticare altre attività come "rilassarsi".
Pur rappresentando ancora il core business del turismo invernale della maggior parte delle località alpine l'industria della neve non è certo quella che offre un elevato grado di ricaduta e degli investimenti e della spesa corrente dei turisti sull'economia locale. [...] Stimolati dalle avvisaglie della "crisi di innevamento" molte destinazioni turistiche competitive hanno iniziato negli ultimi anni a proporre formule di turismo invernale "alternative" basate sul benessere, l'enogastronomia, il turismo culturale, le attività sportive soft all'aria aperta.
Dove il rapporto posti letto in strutture alberghiere e in seconde case è elevato la necessità di offrire proposte di qualità è ovviamente più forte. In Valsassina il turismo è basato in larghissima misura sulla seconda casa. In assenza di un forte settore alberghiero gli stimoli a diversificare e qualificare l'offerta turistica sono meno sentiti, meno immediati. Sono le case vuote, difficili da vendere e ancor più da affittare che spingono a fare qualcosa per ridare valore al "mattone". Ma se si pensa di agire sul solo fronte dello sci per risolvere il problema però non si fa altro che ritardare una crisi più grave e profonda. Anche perché altre destinazioni non stanno con le mani in mano"
. Fonte: Ruralpini.it, 24 febbraio 2010

"1. Nelle classiche stazioni sciistiche della Svizzera i ricavi da trasporti ristagnano negli ultimi 15 anni – è in corso una competizione tendente a spiazzare la concorrenza. Nello stesso periodo, i costi relativi all’innevamento artificiale, alla preparazione delle piste, al servizio di soccorso, alla caduta controllata delle valanghe e alla sicurezza sono cresciuti, passando dal 5% ad un quarto delle spese di gestione (esplosione dei costi).
2. In questo contesto il Cantone Ticino offre una cattiva situazione di partenza per la gestione di stazioni sciistiche, situazione certamente destinata a peggiorare in futuro. Tutte le stazioni sciistiche alpine del Ticino lavorano in perdita. Le stazioni sciistiche ticinesi (a confronto con il resto della Svizzera si tratta di aree piccole e piccolissime) non sono riuscite ad affrontare adeguatamente l’esplosione dei costi nel settore.
3. I cambiamenti climatici e il continuo innalzamento del limite con certezza della neve nel Ticino a 1500 m.s.l.m., e a lungo termine a 1800 m.s.l.m., per sempre più stazioni invernali rende la gestione di impianti sciistici nel Ticino insensata dal punto di vista economico ed ecologico.
4. Sono pochissimi i turisti che si recano nel Ticino con l’intenzione primaria di andare a sciare. I target attuali e futuri delle stazioni sciistiche sono per circa l’80-90% la popolazione locale (ticinesi o persone domiciliate in Ticino), per circa il 10-15% italiani della Lombardia o del Piemonte e per circa il 5%-10% diversi. Fra i ticinesi circa il 10-15% sono associazioni sportive o scuole. Ad eccezione degli ospiti italiani, praticamente tutti godono di tariffe fortemente scontate
(Bastar..!). Le stazioni sciistiche quindi operano in un mercato poco interessante (vedi anche il Capitolo 7 sulla Ticinocard; ricavi per primi passaggi: Ticino Fr. 16.40, Splügen Fr. 21.80, Lenk Fr. 25.60, Alta Engadina Fr. 41.00).
5. Per nessuna delle stazioni sciistiche esiste un business plan con scenari realistici degli sviluppi dei ricavi e con una pianificazione finanziaria. La gamma delle offerte è stretta e uniforme.
6. A Carì e Bosco Gurin gli investimenti sono stati eccessivi e, con ogni evidenza, senza alcuna base economico-aziendale. Essi sono basati su argomentazioni di politica regionale e per la maggior parte finanziati dall’ente pubblico. In queste aree i gestori, gli azionisti, i finanziatori ed altri stakeholder si trovano davanti a un mucchio di cocci e di risanamenti inevitabili. I risanamenti finanziari previsti a Carì e Bosco Gurin sono già a priori destinati a fallire in quanto non contengono misure economico-aziendali efficaci"
. Fonte: Messaggio n. 6129/2008 del Consigliere Marco Borradori al Consiglio di Stato del Canton Ticino.

Proseguiamo?

Il turismo sulle Alpi:
- Balneare e lacuale 36%
- Arte e città 28,1%
- termale 3,9%
- Ambientale 1,0%
- sportivo 2,5%
- enogastronomico 0,7%
- montano invernale 4,1%
- montano estivo 10,8%
- business e altro 12,3%

Secondo CIPRA, il turismo alpino estivo realizza un fatturato complessivo
nettamente superiore di quello invernale (dato medio: nelle località a forte vocazione sciistica il fatturato invernale può essere superiore). Sulle Alpi italiane la percentuale di presenze nel periodo invernale è maggiore e più vicina (ma non superiore) a quelle registrate nel periodo estivo. Fonte: CAI - Club Alpino Italiano, "L'impatto ambientale dello sci", 18 settembre 2010

E ancora:
"E’ un dato di fatto ormai assodato da anni che tutte le stazioni sciistiche difficilmente riescono a chiudere i propri bilanci annuali in attivo, facendo affidamento sulle sole entrate derivanti dagli skipass o dall’utilizzo degli impianti di risalita. Da qui la necessità che gli Enti pubblici e la Regione (Piemonte, n.d.r.) per prima si accollino la responsabilità di garantire maggiore sicurezza per i fruitori delle piste (attuando a livello locale la legge nazionale 363/2003) e l’onere anche economico di sostenere tutte le realtà montane, che spesso trovano difficoltà a decollare. Più soldi pubblici per pochi, evviva! Fonte: Eliorostagno.it, sito del consigliere regionale PD Elio Rostagno (bravo Rostagno, bravo, meno tasse per tutti eh?).

Et dulcis in fundo:

"La tecnologia attuale degli impianti di risalita consente indubbiamente un impatto ambientale meno gravoso che nel passato, grazie ad una maggiore portata e a percorsi più lunghi; la sostituzione di impianti obsoleti determina quindi una riduzione degli effetti negativi sull’ambiente. Non è comunque garantito che l’ampliamento del
demanio sciabile, anche attraverso i collegamenti, produca effetti benefici al turismo dell’area. I costi degli interventi sono molto alti, la fruizione dei collegamenti non sempre agevole (specie se effettuata in alta quota), il sistema ricettivo non sempre adeguato a recepire un incremento consistente di domanda (atteso ed economicamente indispensabile per giustificare gli interventi).
In molte piccole stazioni con scarsa offerta di piste, un modesto ampliamento delle piste o degli impianti può significare ben poco in termini di competitività della stazione; diversamente i costi degli interventi e le condizioni di ammortamento, connesse alla fruibilità, possono incidere pesantemente per anni nella gestione degli impianti.
Tutto questo porta a ritenere che sia oggi opportuno intervenire con ampliamenti e collegamenti solo dove vi siano ragionevoli condizioni di effettivo incremento competitivo della stazione. Diversamente sarebbe largamente auspicabile cominciare a prevedere una diversificazione dell’orientamento della località (dallo sci ad altre attività) per quelle stazioni che non hanno più le condizioni (climatiche e di mercato) per reggere la competizione in un mercato del turismo della neve saturo ed estremamente esigente
. Fonte: Macchiavelli A., docente di economia del turismo all'università di Bergamo, in "Problemi e prospettive del turismo della neve", 2006

Può bastare?

lunedì 25 ottobre 2010

Memento

Qua, una galleria degli orrori. Non aggiungo nulla, le immagini, e soprattutto le loro didascalie, parlano da sole.

Chi ancora riesce a farlo, ci rifletta un po' sopra.

domenica 24 ottobre 2010

Della droga edilizia e degli investimenti farlocchi

Questo post riprende parte di un tema affrontato da Uriel Fanelli sul suo Wolfstep.

Riporto, integrato con poche altre considerazioni, un ampio stralcio dell'intervento postato il 13 ottobre scorso da Fanelli. Gli inserti miei sono quelli in blu.


L'immobiliare residenziale italiano NON é guidato dal mercato delle abitazioni.

L'andamento demografico 1990-2010 ha visto una popolazione praticamente costante, dai 57 ai 60 milioni di persone. Se il numero di case fosse rimasto altrettanto costante nel tempo, l'aumento da aspettarsi, nel medesimo periodo, avrebbe dovuto attestarsi tra il 3 ed il 6%. Al contrario, da quando i Comuni hanno cominciato a riscuotere l’ICI sugli immobili, la quantità di case costruita é stata di 4 milioni di abitazioni negli ultimi 15 anni, di cui un milione rimaste sfitte. A dicembre 2005, scriveva il Cecodhas, l'organizzazione che riunisce 46 federazioni di associazioni no-profit impegnate nell'alloggiare i cittadini più poveri, che l'Italia ha il record delle case sfitte in Europa, il 24% sul totale degli appartamenti, contro una media europea dell'11,8%.
Cosa che stride con l'eterna ed assillante richiesta di buttare giù altro cemento.
Richiesta che, per inciso, continuerà ad esserci perché palazzinari ed immobiliaristi di tutte le forme, foggie e colori, spendono tanto in pubblicità, specie sui giornali, ed è "normale" (il che è diverso da giusto) che siano trattati con riguardo.


In Italia ogni anno, infatti, vengono mediamente mangiati da nuove costruzioni 500 km quadrati di suolo pari a circa 3 volte la superficie del Comune di Milano. Complessivamente é pari al 7,1% del territorio nazionale la superficie artificiale edificata in Italia. Tra le Regioni che detengono il primato per superfici artificiali in testa c'é la Lombardia con il 14,1% del territorio artificiale per un'estensione di 3.400 Kmq, seguita da Veneto con l'11,3% pari a 2.100 kmq e Campania (10,7% per 1.450 kmq). Le Regioni che registrano invece meno consumo di suolo sono il Molise con l'1,6% di superficie artificiale per un'estensione del 70%, la Valle d'Aosta che conta il 2% di superficie artificiale per complessivi 70 kmq, e la Basilicata con il 2,1% per 210 kmq.

Lo scorso anno, a dicembre, Vittoria Brancaccio, presidente di Agriturist, l’associazione agrituristica di Confagricoltura (riunisce circa 5 mila aziende) denunciava, dati alla mano: “In 25 anni, fra il 1982 e il 2007, abbiamo perso 3,1 milioni di ettari di superficie agricola utile (Sau) e 5,8 milioni di ettari di superficie agricola totale (Sat) - sulla base di dati Istat - Parte di questa terra sottratta all'uso agricolo è stata convertita in bosco, ma 1,8 milioni di ettari sono stati mangiati irreversibilmente dal cemento, al ritmo medio di 200 ettari al giorno”.

Con questi numeri, ed una popolazione praticamente costante, non ci si aspetterebbe un aumento vertiginoso dei prezzi delle abitazioni. Invece...

Invece, é EVIDENTE che il prezzo delle case in Italia non è guidato da alcun equilibrio tra domanda ed offerta. Chi crede il contrario é, semplicemente, un fesso.

Che cosa é successo per avere un valore delle case più che raddoppiato in 20 anni?

Due semplici cose:
1. Sono stati concessi mutui facili per il 100% ed oltre del valore, a chi semplicemente possedeva un lavoro. Risultato: un’artificiale crescita della domanda, non corrispondente ad alcun aumento di disponibilità delle famiglie.
2. L'indebitamento delle piccole aziende, garantite da firme personali di possidenti di immobili, ha tolto dal mercato più case di quelle costruite, ovvero più di quattro milioni di case.
Questa é la ragione per la quale la Lombardia é la regione che costruisce di più, e che, senza grossi aumenti di popolazione, ha (avuto) prezzi in continua ascesa.

Ma questo, a chiunque abbia un quoziente di intelligenza superiore a 5, dice una semplice cosa: il valore futuro del vostro "investimento nel mattone" é dovuto a fattori che NON hanno nulla a che fare con il valore del mattone. Avete investito su una partita al Casinò di Venezia, signori.

Con una popolazione stabile ed un continuo costruire, l'ultima cosa che si può pensare é che il mercato continui a far alzare i prezzi, quando la domanda rimane costante (se non é drogata) e l'offerta cresce. Chi pensa che in un lungo termine dei fattori INDIPENDENTI dal mercato stesso possano rimanere costanti, o essere prevedibili, é semplicemente un fesso che merita tutto il danno che gli capiterà.

So benissimo che molti di voi hanno la testa piena delle stupidaggini che gli hanno raccontato per convincere all'acquisto. Altri non vorranno ammettere di averci rimesso. Se non deprimessero la stessa economia dove vivo io, me ne fotterei e rimarrei a guardarli mentre affogano. Purtroppo, il fesso avvelena anche te.

Rimarrò a guardare quando arriverà Basilea III, il rubinetto alle aziende si chiuderà e tanti fessi che hanno firmato a garanzia della propria SrL si vedranno togliere l'immobile. Tali immobili verranno messi sul mercato, e faticherete a vendere le case, il vostro "investimento nel mattone". Che magari avrà anche un valore nominale alto, ma che non riuscirete a rivendere! Perché una portaerei vale un sacco, ma venderla NON é così semplice.

Ma ripeto: il destino naturale dei fessi é la miseria.


Un immobile acquistato con un mutuo NON é un investimento, neanche se leggete i numeri al contrario.

Allora, vi propongo un investimento così: in 20 anni mi date 295.000 euro. Alla fine dei 20 anni ve ne rendo 200.000. Mi regalate, cioè, 95.000 euro in 20 anni.

Vi sembra un affare? No. Adesso, invece di rendervi 200.000 euro alla fine del succoso investimento, vi rendo una casa che vale 200.000 euro. Vi sembra un affare?

Questo é circa quel che farete.

Allora i fessi arrivano e dicono: ma io la casa l'ho avuta subito. Non ho pagato affitti.

Ma io vi rispondo: quei 200.000 euro la banca li aveva all'inizio del mutuo. I soldi che avete versato in più la banca nel tempo li ha fatti fruttare.

Allora, facciamo un confronto, tra un VERO investimento (un private banker) e il vostro "investimento".

Investiamo 295.000 euro in un mutuo, e investiamo 295 mila euro in un fondo di risparmio gestito vincolato ad un anno, rinnovandolo 20 volte.

Sapete quanto vi avrebbe reso versare 295.000 euro ad un fondo per 20 anni? Ve lo dico subito: con un piano di risparmio gestito, almeno 532.000.(Ho tenuto conto di un normale conto "SU Vincolato" di IBL banca, vincolato ad UN solo anno, rinnovato di anno in anno a resa garantita. Supponendo di riversare tutto il montante di anno in anno per 20 anni. Possiamo migliorare vincolando di 18 mesi alla volta, il che significa avere ancora un discreto possesso del denaro in caso di emergenza.

• Alla fine dei 20 anni, vi trovate nel caso del mutuo con un valore di 200.000 euro in tasca, cioè la vostra casa.
• Alla fine dei 20 anni, nel caso del risparmio gestito, vi trovate con 532.000 euro in tasca, cioè DUE case come la vostra e 132.000 euro in contanti.

Vi sembra ancora geniale?

Allora, non me lo chiamate "investimento". Non lo é. EVIDENTEMENTE non lo é. É così distante dal concetto di "investimento" che esistono nemmeno parole per spiegare una simile ovvietà.

Gli investimenti sono una cosa diversa, e NO, il mutuo NON é un investimento, nella maniera più evidente possibile. É una buona maniera per indebitarsi, ma da "buon debito" a "investimento" ce ne passa. Due volte e rotti.

Se un'agenzia di rating esaminasse la vostra situazione familiare dopo che avete stipulato un mutuo, il vostro rating sarebbe "Smelling Junk", o qualcosa di ancora peggiore. Se si esaminasse la vostra azienda, coperta di fidi, castelletti fidi col fornitore, pagamenti dilazionati a 60/90/120, macchinari vecchi e zero investimento, il rating sarebbe qualcosa tipo "Junk". Ma voi vi incazzate col governo se il debito pubblico scende da AAA ad AA1. Ahaha. Il governo sta molto meglio di voi, fessi. LA vostra azienda, mediamente, non ha la più pallida possibilità di aspirare ad un AA1, casomai non lo sapeste. E lo stesso per la situazione debitoria della vostra famiglia.

E adesso correte pure ad acquistare l'appartamento che vi consentirà di avere il giornaliero a prezzo ridotto. Un grande investimento.



venerdì 22 ottobre 2010

Fermarsi? Bisognerebbe almeno essere partiti

Scrivo questo post in risposta a due commenti al precedente "Facce di bronzo 2".

Comincio con l'apprezzamento per i toni pacati, di sguaiataggini ce ne sorbiamo troppe tutti quanti e tutti i giorni, quindi GRAZIE ai due anonimi che hanno espresso la loro opinione in maniera urbana.

Cominciamo. Fermarsi, o fermare cosa? Smettere di scrivere? Non è giunto quel momento, lo faremo certo, nessuna battaglia è infinita, non ci sono fanti giapponesi dispersi su un'isola del Pacifico, non qui almeno. Ma per ora, e credo per un po' ancora, di cose da dire ce ne sono e ce ne saranno.

Cosa fermare dunque? Vengo al titolo del post. Per fermarsi si dovrebbe essere almeno partiti, nel senso che si potrebbe fermare un'azione concreta, fattuale, contro il PII, qualora l'avessimo effettivamente intrapresa.

Ma così non è, questo blog nasce per discutere, per provocare reazioni, per non appiattirsi sul pensiero unico del "lo sci è bello e il PII è il suo Profeta", per suggerire alternative praticabili. Certo, lo diciamo nel titolo stesso del blog, il tema è limitato, non facciamo i tuttologi o gli arruffapopoli, non siamo novelli beppigrilli tutti chiacchiere e fuoriserie dodici cilindri. Protestiamo, "alziamo la voce", vogliamo pervicacemente affermare che in un piccolo paese della Valle Brembana si sta percorrendo una di quelle vie lastricate di buone intenzioni, ma che conducono dove sappiamo.

Ecco, questo solo facciamo qui, e non vogliamo, non possiamo, non dobbiamo fermarci.

Altri hanno intrapreso forme diverse di opposizione, chi giudiziarie chi attraverso volantinaggi, ci avevano anche chiesto di aderire, ma abbiamo declinato l'invito.
Non crediamo di poter affrontare certi argomenti attraverso i tribunali, come legittimamente ha scelto Legambiente, o con accuse a raffica espresse in toni francamente poco accettabili da altri soggetti, con i quali pure abbiamo avuto modo di confrontarci, ma dei quali non riteniamo condivisibili i metodi usati per esprimere il dissenso. Con ciò non voglio dire che qui siamo dei bonaccioni, tutt'altro, abbiamo anche noi calcato la mano quando lo ritenevamo opportuno, senza per questo dare del criminale ad alcuno. Magari dell'incompetente e dell'inetto sì.

L'obiettivo era ed è, soprattutto, di tipo culturale. Se certi cattivi esempi di amministrazione proliferano un po' ovunque in Italia, ma soprattutto in Lombardia (e parlo di cattiva amministrazione, non di malaffare o di criminalità, quest'ultima attiva principalmente al Sud anche se, ahinoi, le infiltrazioni in "Padania" sono fatti e non leggende) lo dobbiamo essenzialmente a tre fattori: pessime leggi da un lato, lo sfascio della finanza locale nel mezzo, la PERDITA TOTALE DI CULTURA DEL TERRITORIO dall'altro lato.

Si ha un bel dire che la montagna è debole, che bisogna sostenerla, che lo spopolamento è un danno, che il turismo è una risorsa, e bla bla bla, se poi le politiche LOCALI non sono niente di meglio che scimmiottamenti di quel che avviene in pianura, in realtà urbane assai più e meglio strutturate per sopportare certi interventi di trasformazione.
Tutti, sindacucci e assessorucci vari, di ogni paesuccio delle vallucce, ad invocare la loro essenzialità, la loro conoscenza del territorio, la loro lungimiranza, il loro rispetto "quello serio" per l'ambiente, per poi, all'atto pratico, comportarsi come farebbe un qualsiasi loro collega della bassa: servono i soldi per fare la strada? Facciamo un PII, e i soldi ce li daranno i privati. Quella che doveva essere un'eccezione, la negoziazione urbanistica, è diventata la regola, l'unica regola.
Non che la negoziazione in sé sia un male assoluto, se la si sa fare, ma siccome è ampiamente provato che a saperla fare son solo gli operatori immobiliari e i costruttori (vero Sindaco Moratti? Tutto il mondo è paese, anche se il paese si chiama Milano e pretenderebbe di essere una metropoli europea), sarebbe bene, anzi meglio, se questa formula di (s)governo del territorio venisse cestinata una volta per tutte. Invece no, non si lascia, si raddoppia. Allegria!

Come se non bastasse, al danno si aggiunge la beffa: gli sponsor (sponsores per i puristi) da un lato, i fans dall'altro lato, delle peggiori porcate urbanistiche sui monti, sarà un caso, abitano altrove, in pianura, spesso sono proprietari di seconda casa, a volte semplici colonizzatori da fine settimana. Loro si godranno i frutti della dabbenaggine di quei sindacucci di cui sopra, ai residenti veri le briciole, per un po', poi finite quelle, potranno godersi quel che resta: nulla.

Sfortunatamente per Piazzatorre, come per decine di altre località sulle Alpi, anche gli impianti nuovi tendono (incredibile eh?) ad invecchiare, ancor prima che scadano le convenzioni con i gestori e le concessioni d'uso. A quel punto, visto che s'è costruito anche dove c'era il parchetto per i bimbi e non c'è più un cazzo di fazzoletto (scusate il francesismo) di terra su cui costruire ancora, ci si ritroverà sotto l'anfiteatro a chiedersi in che cosa s'è sbagliato.

Non voglio gufare, la mia è semplice cronaca di ciò che è già successo altrove, e nessuno finora ha potuto dimostrare che non succederà più.

Ma, insomma, nessuno si è posto le domande: "perché gli impianti non hanno retto?", "cosa è cambiato dagli anni '70 e '80, per passare dal boom al declino?", "ma le gestioni erano all'altezza?", "unificare il comprensorio era davvero una priorità in assoluto, o lo si poteva fare per gradi?". Lo chiedo non per retorica, ma perché queste semplici questioni sono scomparse dalla discussione in un amen.

L'altra domanda: "per l'unificazione ed il rilancio era indispensabile un PII così invasivo?", la pongo sì con retorica, e la mia risposta è un NO deciso, convinto, basato su logica e razionalità.

Ho sempre difeso l'intervento sulle ex Colonie, non me ne pento, ricostruire ed ampliare la Bergamasca, ristrutturare ed ampliare la Genovese sono cose da fare senza se e senza ma. E poi stop però. Svendere la Tagliata è demenzialità pura. Agli interventi sulle Colonie si potevano chiedere le risorse per gestire gli impianti cinque anni, non era necessario vendersi anche il deretano per portare la gestione a dieci. Un lustro bastava ed avanzava per capire se l'affare c'era o no, ed eventualmente per attivare misure correttive. Macché, tutto e subito. Chissenefrega di quel "boschetto" (quattro ettari d'alto fusto!).

Ma la beffa nella beffa, quella davvero divertente per quanto odiosa, sapete quale è? Che tra i fautori del PII e della trasformazione della Tagliata c'è gente che qui, a Milano, quando la Regione ha deciso di sacrificare il "bosco di Gioia" per il nuovo centro direzionale, ha fatto un casino dell'anima. E siccome li conosco personalmente questi paladini del verde cittadino (c'è verde e verde evidentemente), ogni volta che mi capitano a tiro mi premuro di sputargli in un occhio, in amicizia s'intende. Capito? Il bosco di casa mia è sacro, quello di casa tua vada pure a farsi fottere, che io voglio sciare.

No gentili Anonimi, perdonateci, io, Mara, Claudio, non ce la sentiamo davvero di fermarci.

sabato 16 ottobre 2010

Facce di bronzo 2

Troppi vincoli per i poveri Comuni a causa di quei cattivi Parchi Regionali che impedirebbero anche di tagliar le piante morte.

Ma a chi pensate di darla a bere?

Che i Parchi siano sempre stati sul gozzo a Comuni e, spesso, anche ai cittadini, non è una novità, ma le ragioni non stavano certo nelle piante morte da abbattere o nei boschi da pulire. Quando mai un parco ha negato interventi di questo tipo? Dai, non scherziamo, per favore.

I vincoli che danno fastidio sono ben altri, lo sappiamo, e riguardano sempre le solite cose: costruzioni, attività estrattive, piste da sci, impianti di risalita, caccia, pesca.

Ma che in provincia di Bergamo ci si esibisca in pianti greci per parchi come quello delle Orobie, fa solo pena. Se c'è un Parco che è non un Ente ma un'entità (astratta ed incorporea) questo è proprio il Parco delle Orobie Bergamasche. Mai visto nulla di più inoffensivo.

I presidenti dei Parchi che propongono di ridurre i perimetri delle aree protette, invocando come scusa la scarsità di risorse, hanno una cosa sola da fare: dimettersi.

Se ne tornino a casa ed evitino di farci fare con l'Unione Europea l'ennesima figura da cioccolatai.

martedì 12 ottobre 2010

Facce di bronzo

da l'Eco di Bergamo del 12 ottobre 2010

[...] Di fatto manca ancora la firma della convenzione tra comune e società, documento che fissa tempi, costi e modalità degli interventi («un ritardo dovuto anche a nuove normative», dice il sindaco Arioli). Ma l'avvio dei lavori rappresenta il segnale concreto della volontà di proseguire nell'operazione di rilancio. [...]

Di grazia, Sindaco, quando mai le normative, vecchie o nuove che fossero, hanno mai rappresentato un problema per gli amministratori di Piazzatorre, incluso Lei?

Ma l'avvio dei lavori rappresenta il segnale concreto della volontà di proseguire nell'operazione di rilancio. Ecco, appunto.

Quando c'è la volontà, perché preoccuparsi delle norme?

lunedì 11 ottobre 2010

Le regole inutili

Da un paio di settimane sono iniziati i lavori sulle piste di Piazzatorre, non sto nemmeno a indicare il link ai nuovi reportage fotografici (by the way, complimenti al fotografo) disponibili sul forum vallare, ormai non sono nemmeno più delle novità.

La novità sarebbe che il buon Sindaco annunciasse urbi et orbi la firma della convenzione del PII. Invece non lo fa. Perché?

Forse perché quella firma latita tuttora.

Del resto, a che serve convenzionare un Programma Integrato di Intervento ormai decaduto per legge? Tanto vale dar seguito egualmente ai lavori, poi, chi vivrà vedrà.

Chissà, magari è un'acuta strategia della premiata Società Comune di Piazzatorre & Alta Quota S.I.I. (Società a Irresponsabilità Illimitata), conscia della scarsissima probabilità che chi (ma chi?) dovrebbe ripristinare la legalità, si decida a destarsi dal letargo ormai perenne.
Ma perché cacchio si scrivono delle regole se poi non si è in grado (meglio, non si vuole) di farle rispettare?