domenica 31 agosto 2014

Il mistero di Carona

Riceviamo e volentieri pubblichiamo, girando a voi lettori, la domanda del signor S.G., di Gorla Maggiore (VA)

"Salve, sono anch'io un assiduo frequentatore di Piazzatorre, quest'anno però, ho soggiornato nell'altro ramo della valle, quello di Foppolo, per la precisione a Valleve. Tra i vari giretti che ho fatto mi ha colpito quello a Carona.
C'ero già stato una quindicina d'anni fa, ma non la ricordavo affatto e ora ne sono rimasto molto colpito, perché é davvero graziosa, pulita, ben tenuta, e, senza offesa per nessuno, direi che non sembra un paese della valle Brembana.
Informandomi meglio ho scoperto che Carona é persino più piccola di Piazzatorre quanto a residenti, al che lo stupore é aumentato, perché mi sono chiesto come possano essevi differenze così evidenti nella cura per l'abitato.
Non credo dipenda dall'appartenenza al comprensorio Brembo Ski, anche perché allora non mi spiego come, invece, Foppolo sia decisamente meno bella di Carona.
Voi avete idea del perché a Carona sembri di essere in Trentino?".

No caro amico, noi non ne abbiamo idea, ma magari qualcun altro sì. Forza allora, chi ci svela il mistero di Carona?

venerdì 22 agosto 2014

Ogni riferimento é puramente casuale (orsi a parte)

Per le menti più sveglie propongo un estratto da un articolo di Fabrizio Bottini, pubblicato sul sito Millennio Urbano. L'articolo, che parte da lontano e da concetti a noi non familiarissimi, arriva poi a considerazioni che, invece, ci sono assai più familiari e sulle quali é sempre bene ogni tanto riaccendere una riflessione, specie in questi giorni, quando si sta riaccendendo, altrove, la fobia per l'orso, anzi, per l'orsa. E qui, non ce ne vogliano gli amici Ruralpini, non siamo del tutto d'accordo con loro.

[...]
Le lucciole e le lanterne
Arriviamo ai nostri giorni, quando l’invasione dello sprawl esurbano di seconde case nelle aree boscose collinari e anche montane in alcune regioni urbane raggiunge estensioni e impatti impressionanti. Pensiamo alla nostra megalopoli padana, così simile per conformazione a quella originaria Bos-Wash da essere riconosciuta come tale anche dal titolare del copyright, Jean Gottmann. Ormai nei grandi e medi centri di questa vasta e popolata regione urbana si è diffusa l’abitudine di quella che potremmo chiamare “prima casa e mezza” ovvero un alloggio a disposizione nelle aree a bassa densità e a funzione prevalentemente turistica, che viene utilizzata sull’arco di tutto l’anno, stabilendo con la città una sorta di comunicazione pendolare pur non quotidiana. Questo fenomeno da un lato finisce per urbanizzare e infrastrutturare anche fisicamente le aree esurbane turistiche, dall’altro ne avvicina anche di più la percezione di prossimità e familiarità. D’altro canto l’ormai storica abitudine a ritmi e modi urbani e suburbani, così lontani dalla contrapposizione città/campagna classica, ci fa percepire la natura in modo distorto, come una sorta di giocattolo addomesticato, anche quando non lo è affatto, o non lo è nel modo che intendiamo noi. Fin quando non si verifica, quasi fatalmente ma del tutto inatteso, lo scontro.
Conflitto senza classi, e senza vincitori
In città o nel nostro suburbio, lo scontro con la natura che abbiamo urbanizzato solo nelle fantasie da lobotomizzati televisivi di massa avviene di solito in modo attenuati. Un po’ come quei bambini convinti che le galline nascano già spellate nel vassoio del supermercato, e le uova al massimo da un nastro trasportatore. Spesso reagiamo abbastanza istericamente ad alcune manifestazioni del tutto naturali, ad esempio l’invasione di nutrie ovunque ci sia un po’ d’acqua pulita. Animali miti e inoffensivi, che hanno però l’involontario torto di assomigliare un po’ a enormi topi, roba da incubo alcolico, e allora apriti cielo: casalinghe che invitano i mariti alla resistenza armata, genitori che non lasciano più uscire i figli dopo il tramonto, temendo chissà quali aggressioni. E allontanandosi dalla città propriamente detta, verso la frontiera avanzata un po’ oltre le prime case e mezzo, succede anche di incappare nella versione non a cartoni di Yogi e Boo Boo, ovvero un’orsa con tanto di cuccioli, che si comporta da mamma protettiva con l’escursionista scambiato per potenziale aggressore di orsacchiotti. Manco fossimo dentro un reality, titolo provvisorio Vaghe Stelle dell’Orsa, inizia il televoto su cosa fare, scontro campale fra chi dà la colpa di tutto al poveraccio cercatore di funghi che ha rischiato la pelle, e chi cita il vecchio Joseph Kennedy parafrasato da John Belushi: quando il gioco si fa duro tocca giocare duro. Ovvero se l’orso mi svaluta le seconde case, si abbatta l’orso che vale di più come tappeto davanti al camino della tavernetta.
Ovviamente non c’è una “soluzione”, salvo cercare qualche genere di convivenza, vigile, vagamente e reciprocamente minacciosa, tra le nuove classi sociali che popolano la megalopoli multietnica e multispecie. Una cosa è certa: così come non esiste più in senso classico il dualismo città/campagna, non esistono nemmeno più così divisi lo stato di natura tipo homo homini lupus, e nemmeno l’arcadia mentale da città murata dove si può ridurre la bestia a simpatico barboncino, o addirittura a categoria dello spirito smaterializzata. In molti paesi, dove questi temi sono aperti da decenni, si cerca da un lato di costruire nuovi strumenti di pur guardingo vicinato, dall’altro di declinare gli antichi bruschi e brutali strumenti contadini di “intervento”, ovvero eliminazione fisica, quando non se ne può fare a meno.

lunedì 18 agosto 2014

La montagna fa schifo?

La domanda sorge spontanea, come avrebbe detto il buon vecchio Antonio Lubrano, in ragione della lettera inviataci dal sig. Alessandro Tronconi, di Milano, il quale oltre a firmarsi ci ha tenuto a precisare che non ha alcun imbarazzo a esprimere la sua opinione e a renderla pubblica.
Accontentato.

"Cari Mara e Paolo, non salvate nulla, non provateci proprio, non serve. Due settimane di ferie trascorse nella val Brembana fanno capire tutto quanto basta per stabilire, in piena serenità di giudizio, che la montagna é bene che stia dov'é e che se ne vada alla malora.
Mi spiego. Partiamo da un dato di fatto: la gente se n'é andata da monti a valli per scendere in pianura? Sì vero? Bene, ci sarà pur stato il suo bel motivo.
Se non é un posto per viverci, se non da eroi o da matti, almeno sarà un posto dove godersi qualche piacevole giornata? No, nemmeno, perché:
- il clima é talmente instabile che trovare una giornata intera di bel tempo é peggio che vincere a Turista per Sempre
- per tentare di vedere un panorama simil cartolina occorre ammazzarsi di fatica per ore, alla faccia del relax da vacanza
- devi PER FORZA attrezzarti (vestiario, calzature) con una spesa non indifferente, per poi scoprire di non essere mai attrezzato adeguatamente, perché per il percorso tale ti ci vuole questo, per il percorso tal altro ti ci vuole anche un altra cosa, che ovviamente non hai e che se pensi di comprare a poco prezzo sei fuori strada
- l'offerta di iniziative é all'insegna del "son sempre uguali", vista una viste tutte.
E allora, ma che state a menare il torrone con la montagna d'estate, ma finitela. 
La montagna serve per sciare, punto. Se uno scia. Sennò nemmeno a quello. Che stia dov'é. L'esperienza, ovvero la fregatura, me la son presa una volta, la seconda non mi becca più.
Cordialità".

Che dire, io non lo so, non lo so più, non ce la faccio davvero a rispondere a una opinione come questa, che magari riporta davvero l'esito di una vacanza andata non bene, magari é solo una canzonatura. Non lo so e a questo punto nemmeno mi interessa. Forse l'opinione di Alessandro é più diffusa di quel che credo, ma non per questo é una verità rivelata.
Rispondete voi se vi va.